Per la parete sud dalla Val Stavalins
Spesso si tende a dare un connotato negativo all’avventura come se essa portasse conseguenze sgradevoli: gli si dà il significato di disavventura nel senso di sventura, disgrazia.
L’avventura però è altro: è creativa, gioiosa, edificante.
Dobbiamo vedere la questione da un altro punto di vista. L’avventura è il divenire, andare incontro a ciò che accadrà. In quest’ottica il nostro passaggio terreno è un’avventura.
La società così come è stata costruita cerca di nasconderci questa verità fornendoci certezze che tali non sono e che ci inducono a pensare di vivere sempre in un continuo presente senza slanci verso il futuro che non siano codificati, accettati e in parte resi possibili a tutti: una casa, una famiglia, sicurezza alimentare ecc. Nella società odierna l’unica avventura che ci resta da vivere, che è tutta personale, è proprio la nostra morte, dato che essa è l’unica situazione imprevedibile che nessuna regolamentazione o sistema economico, politico e sociale può ingabbiare.
L’individuo che riesce a capire questo concetto avrà accesso alla libertà dell’avventura.
È estremamente difficile giungere a questa conclusione perché siamo condizionati dal pensiero che alla morte non si deve badare: meglio vivere, insulsamente vivere come se un domani non esista, come se tutto si potesse portare con noi per sempre.
Invece morir si deve.
La nostra avventura occulta è dunque la morte. Proprio verso di essa dobbiamo rivolgerci se vogliamo vivere nell’avventura che vuol dire prendere in mano il proprio destino e condurlo verso il divenire. Non subire ciò che ci accade come fossimo in balia di un mare troppo grande e imperscrutabile.
Mettere mano alla propria esistenza è l’avventura più bella che un individuo può fare ed è un’operazione creativa, gioiosa, edificante.
Per far questo non si deve temere la morte: quella viene comunque e in quel momento ci chiede solo se abbiamo vissuto.